Quale metodo migliore, per imparare correttamente qualcosa, se non affidandosi a professionisti?
Mi sono finalmente iscritto ad una scuola di inglese.
Ero indeciso sul dafarsi, perchè qualcuno mi consigliava di risparmiare denaro, assicurandomi che con il tempo avrei imparato la lingua.
Qualcun'altro, invece, di tutt'altro avviso, mi aveva consigliato che un'impostazione di base sarebbe stata fondamentale per un corretto apprendimento.
Sono ormai a Londra da 2 mesi, e ad essere sincero qualche miglioramento c'è stato.
Non mi faccio più troppi problemi a chiedere informazioni, ad interagire o parlare con il prossimo; nonostante il mio vocabolario sia ancora scadente.
Molte volte parlo, ma non so cosa dico, spero sempre che il mio interlocutore, come d'altronde faccio io, capisca il senso del discorso.. insomma, un po' di elasticità..
Ad oggi, mi è ancora estremamente difficile, pensare e parlare in inglese.
Ed è per questo motivo, che ho deciso di iscrivermi alla scuola di inglese "Callan".
Una scuola pubblicizzata per il suo metodo diretto, di continuo dialogo insegnante studente che assicura risultati eccellenti in un quarto del tempo rispetto alle altre scuole.
In pratica, entri in classe e parli..
La sede, si trova in Oxford Circus, la via più centrale e forse più trafficata di Londra.
Per arrivarci, impiego poco più di mezz'ora, mescolato tra pendolari frustrati che raggiungono il posto di lavoro.
A volte, mi sento pendolare frustrato anche io.
Non ho ancora capito la gente normale, a che ora inizia a lavorare, dato che dalle 7 alle 10 le metropolitane sono intasate; idem dalle 16 alle 20.
La mia lezione, inizia alle 10.30, ma per essere in orario, parto prima; proprio nel bel mezzo della ressa.
Tra i tanti abitudinari passeggeri, vi sono anche i "merenderos" che si materializzano davanti a te, con zaini e valige ingombrantissime.
Nella metropolitana già satura, contribuiscono attivamente allo scompiglio; come quando durante una partita di tetris, ti si posiziona malamente quel maledetto pezzo a forma di "T" proprio quando stai per completare il livello.
Sono una piaga totale, pensano che intorno a loro siano tutti turisti.
Non capiscono, che se loro non hanno fretta, e possono occupare un'intera scala mobile, tu sei sempre stramaledettamente in ritardo!
I peggiori però sono i Giapponesi.
Una volta si distinguevano perchè passavano il loro tempo a fotografare qualsiasi cosa, oggi gli riconosci perchè passano il tempo a seguire la retta via sul loro iPhone.
Non si curano minimamente del mondo esterno, se possono ti calpestano; Google gli dice di andare dritti, mica possono evitare gli ostacoli davanti a loro.. "Maledetti".
Fanno anche ridere, perchè il capofila, avanti qualche metro, segue la strada sul telefono, i seguaci, dietro come pecore.
Tra zainate, "banchi" di Giapponesi, devoti che cantano "Hare Krishna", cambi di direzione e scarti improvvisi, da fare invidia a Cristiano Ronaldo, arrivo alla scuola.
Sembra di essere in Italia; sento solo parlare italiano, mi guardo intorno e non vedo nè Colosseo nè Mole, tantomeno il Duomo di Milano. Sembra di passare il confine appena esci dalla "Tube".
I Romani caciaroni, che non sfruttano mai la loro facoltà di tacere gli trovi ovunque.
Riescono a creare scompiglio ed a dare fastidio pure qui.
Non mancano i fighetti Milanesi e gli ansiosi del sud, che prendono un corso di inglese come fosse un'esame di maturità.
Penso che il 90% dei frequentanti sia di appartenenza Italica, tanto che i docenti, esagerano qualche stravagante traduzione in lingua nostrana.
La mia classe è composta da circa 14 persone, inutile sottolineare la provenienza dei tre quarti di essi.
La minoranza è di origine Giapponese, Portoghese, Turca, Coreana e Belga.
L' età sono comprese tra i 13 ed i 50 anni circa, un minestrone di generazioni e culture.
Le Giapponesi parlano inglese come io parlo il Bergamasco.
Quando rispondono alla domanda, muovono la testa avanti e indietro come quegli omini sui cruscotti delle macchine che andavano di moda negli anni '90.
Parlano a bocca chiusa, sembrano dei ventriloqui a tempo pieno.
Gli Spagnoli mettono "s" e "z" a destra e a manca, i Francesi usano i loro accenti come se fosse un copyright, mentre noi Italiani, parliamo troppo "apero".
Insomma, immaginatevi che risate si fanno questi insegnanti.
Tante risate, ma c'è da dire che sono bravissimi e pazientissimi, perchè vi sfido ad andare avanti tutto il giono, a fare domande e risposte del tipo: "Cosa sto facendo? Ho chiuso il libro... Cosa ho fatto ieri sera? Ho guardato la televisione... Quanto costa in media una bistecca nella città in cui vivi? Circa 15 pound.. ecc..."
La domanda viene ripetuta due volte, ed a turno, gli studenti sono chiamati a rispondere in maniera "controllata e guidata" dall'insegnante stesso.
A volte, nemmeno capisci la domanda, non capisci nemmeno le parole che la compongono, perchè parlano contratto e veloce, proprio per abituarti al "suono" inglese.
Sembri "Pino Lalavatrice" sotto tortura del "Regista".
Rispondi da pappagallo, tanto che sarebbe bello fotografare le nostre facce prima dopo e durante le domande; ne uscirebbe un collage in stile cubista.
A volte, capisci il senso della domanda, ma confondi piccole leggerezze come magro e grasso, tanto da rispondere che il più magro della famiglia è tuo papà.
Non mancano i momenti divertenti, dove il docente, con tipico umorismo anglosassone, allieta la classe con barzellette e scenette.
E' passata una settimana, dalla mia prima lezione, ed il tempo è volato.
Ogni tanto mi tornano in mente parole studiate al mattino, le sento alla televisione o nei discorsi altrui; d'altronde lo slogan del signor Callan è: "ripetere, ripetere e ripetere".
E' sicuramente un buon metodo, sono fiducioso ed ottimista.
Certo ci vuole come per tutto, un pò di impegno e perseveranza, non come alcuni elementi all'interno della mia classe, che dopo 3 mesi di corso, parlano inglese come le giapponesi parlano il bergamasco insegnato da me..
Ogni riferimento a persone, cose, etnie o dialetti, è puramente casuale senza la volontà di criticare nessuno ma con la facoltà di ironizzare sul mondo a cui appartengo e che mi circonda.